La voce dei 'daimones'

 

Opera di Wang Yiguang

Un invincibile desiderio di vita permette al nostro corpo di riparare le sue ferite e di tornare intero ogni volta che ci facciamo male.
Come una promessa di guarigione, il nostro sistema è programmato per far fronte ad ogni difficoltà.

Questa capacità ha il nome di resilienza ed è una caratteristica di tutti i sistemi viventi.

Ogni ferita tuttavia richiede attenzione e tempo di maturazione. Questo vale per le ferite del corpo come per quelle dell’anima.

In un’epoca di incessanti disastri ecologici come quella che stiamo attraversando è normale percepire un senso di profondo disagio interiore. Disagio che non è legato solo ad una presa di coscienza oggettiva delle condizioni in cui verte la realtà, ma che muove dalla percezione di una separazione intima, interiore.

La Terra ci sta mettendo di fronte ad uno specchio.

Cìò che si manifesta nel grande si manifesta anche nel piccolo.

Il disagio infatti, come diceva James Hillman, non è solo nella Terra ma anche nelle profondità della nostra anima, ed è per questo che i daimones bussano con crescente insistenza alle porte del nostro cuore per ricordarci chi siamo e reclamare una nuova unione.

Nella visione neoplatonica i daimones sono spiriti che abbiamo scelto come guide quando siamo venuti nel nostro corpo fisico. Essi hanno il compito di ricordarci la nostra unicità, la vocazione, il senso profondo della nostra incarnazione.

I daimones vivono nella terra di mezzo tra l’umano e il divino, sono esseri della natura intesa come anima mundi, luogo di bellezza, lucentezza, rivelazione dell’essenza stessa dell’anima.

Allontanandoci dalla natura ci siamo allontanati dall’anima, dal sacro e dal corpo, nonchè dal nostro daimon personale. Dimentichiamo la nostra missione.

Come una ferita invisibile la separazione dai daimon si manifesta attraverso un senso di smarrimento, solitudine, paura, frammentazione, impotenza.

Tutto il contrario della bellezza a cui siamo destinati.

La ferita invisibile è una ferita individuale che ci tocca personalmente come qualcosa impedisce di essere pienamente vitali ed allo stesso tempo è anche una ferita collettiva potenziata dall’ombra, che mina le radici della storia.

Portandola alla luce essa diventerà un portale di consapevolezza e di resilienza attraverso il quale sarà possibile ritrovare la promessa ancestrale di amore che la Terra non ha mai smesso di offrirci.

I daimones sono ovunque intorno a noi, ci parlano nei momenti di silenzio e di solitudine, quando apriamo i sensi interiori all’ascolto, quando sgombriamo il corpo dalle tensioni, ogni volta che facciamo spazio al riposo e alla contemplazione.

Essi vengono a trovarci attraverso il senso della meraviglia, della gioia, della partecipazione agli eventi del cosmo che risvegliano il nostro mondo interiore.

I daimones assumono le sembianze di un uccello, di un albero, di una foglia, di una nuvola.

Ci vengono incontro come archetipi di un volo magico, epifanie dell’immaginazione.

Oppure ci solleticano attraverso delle sensazioni di caldo e di freddo, come parole portate dal vento, eco di una memoria viva che annuncia il tempo della guarigione.

Vedere la ferita ci aiuta a guarirla.
Ci permette di abitare la nostra fragilità e di aprirci all’ascolto delle molteplici voci che cantano incessantemente la melodia della creazione.

PS: Sentite anche voi il richiamo dei daimones?
In che modo vi parlano? Cosa vi raccontano?